Fashion - January 29, 2020

E SE FOSSE LA MODA IL PEGGIOR NEMICO DELL’AMBIENTE? ECCO COSA BISOGNEREBBE FARE

Di gas serra e voli aerei se ne è sentito molto parlare, di quanto però impattino industrie come quella della moda sulla distruzione ambientale se ne fa ancora segreto. Negli ultimi anni le iniziative attuate per cercare di far sì che il nostro eco-sistema torni a respirare sono state moltissime: sono state introdotte nuove regolamentazioni nelle città per le emissioni di smog, sono stati sviluppati aerei “eco-sostenibili”, si sta educando la popolazione al rispetto per l’ambiente, ma che ruolo ha in tutto questo il sistema fashion?  Ciò di cui, purtroppo, si parla troppo poco infatti, riguarda tutti quelli che sono i fattori, forse considerati secondari, che intervengono in questo processo di auto-distruzione attutato dall’uomo. Il report “Global fashion: green is the new black” ha deciso di mettere nero su bianco quello che è il reale impatto della moda sull’ambiente, e ciò che si evidenzia è alquanto drammatico!

Proprio in questi mesi tutti stiamo vedendo l’Australia bruciare, tutti abbiamo adottato un koala o piantato un albero in Amazzonia, ma non abbiamo rinunciato a un paio nuovo di sneakers vero? Ecco qui dei dati che, forse, vi faranno cambiare approccio:

L’industria della moda ha un modello di business che pare essere “non sostenibile” e secondo le stime del Global Fashion, tale modello continuerà a crescere toccando i 3,3 trilioni di dollari entro il 2030. Cosa significa? Che più aumenta la crescita del sistema moda, più grande sarà l’impatto negativo che essa avrà sull’ambiente, perché? Perché produrre moda significa consumare più acqua (+50% entro il 2030), più emissioni (+63%) e tonnellate in più di rifiuti creati (+52%). Spesso è qualcosa a cui non pensiamo, ma ci sono fondazioni come la Ellen MacArthur, pronte a sostenere che la moda entro il 2050 consumerà addirittura il 25% del carbon budget mondiale! Sembra assurdo non è vero? Ecco qui altri dati più esplicativi:

La produzione di abbigliamento e scarpe comporta la produzione di quasi 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni, che per intenderci sono il doppio di quelle prodotte da voli internazionali e collegamenti navali commerciali; a questo si aggiunge la produzione di anidride carbonica, equivalente più o meno a quella dell’intera Europa. Ma ancora: per produrre una t-shirt si utilizzano 2.700 litri d’acqua, ovvero quelli che una persona beve in due anni e mezzo. A questi si aggiungono moltissimi altri dati preoccupanti e la ragione di questi sta nel fatto che la produzione cresce sempre più, anche e soprattutto a causa, dell’aumento di consumo del fast fashion, che garantendo prezzi relativamente bassi porta i consumatori a comprare sempre più capi che però non vengono utilizzati (o almeno lo sono ma poche volte). Il problema reale è infatti che si produce sempre di più, si acquista sempre di più e il tutto lo si fa senza una ragione apparente, contribuendo però a distruggere ora dopo ora il nostro ambiente.

Qual è la soluzione? Vivienne Westwood, attivista e icona della moda, da sempre ha fatto del “Buy Less, Buy Better” una vera filosofia, e forse dovremmo prenderne tutti spunto. Questo non vuol dire che non si debba più fare o acquistare prodotti moda, ma che se il consumo si riducesse, automaticamente le case di moda produrrebbero meno, riducendo i danni ambientali o quanto meno non aumentandoli. La vera rivoluzione verso la salvaguardia dell’ambiente, infatti, dovrebbe partire proprio da noi, consumando meno e acquistando meglio. Dall’altra parte le aziende dovrebbero muoversi verso un modello di produzione più green e sostenibile, evitando l’utilizzo di materiali dannosi e nocivi. Alcuni lo stanno già facendo, e voi?

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